The Withouts of Kuwait

Tempo fa scrivemmo un articolo per un magazine on line che purtroppo non è mai nato. E’ importante non tenerlo nel cassetto. Eccolo:

I Bedoun del Kuwait: la rivolta corre sul web

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Abdul Hakeem, attivista e blogger Bedoun.

Da oltre un mese preparavamo il nostro viaggio tra i Bedoun, la comunità apolide residente in Kuwait. Secondo le stime di Human Rights Watch almeno 120.000 persone, il 10% della popolazione, vive da decenni in una condizione di violazione dei diritti umani, paragonabile all’apartheid in Sud Africa. Come fotogiornalisti volevamo documentare una situazione dimenticata dai media internazionali.

Il giorno prima della partenza eravamo impegnati tra zaini e documenti, quando ci arrivò una mail da New York. Mittente: Mona Kareem, la blogger Bedoun esule negli Stati Uniti.

Hi Antonio,

the person who was supposed to host you was arrested in a protest. We got you another one. His name is Talal & he’ll pick you up from the airport. His phone no is: 00965 xxxxxxxx.

Hope all goes well, good luck.

Mona 

Ecco. Se ancora eravamo sospesi tra Italia e Kuwait, questa notizia ci scuoteva e ci portava alla dimensione che avremmo incontrato nel golfo persico a partire dal giorno dopo.

Kuwaiti newspapers speaking about the protests of the Bedoon. But there are not independent newspapers in Kuwait and all the media speak about the Bedoon from the government point of view. The Bedoon have organized numerous demonstrations since February 2011 calling on authorities to address their citizenship claims.
Kuwaiti newspapers speaking about the protests of the Bedoon. But there are not independent newspapers in Kuwait and all the media speak about the Bedoon from the government point of view. The Bedoon have organized numerous demonstrations since February 2011 calling on authorities to address their citizenship claims.

Abdul Hakeem, l’attivista Bedoun che avrebbe dovuto ospitarci e farci da guida tra la sua gente, era stato arrestato per avere organizzato, senza autorizzazione, una manifestazione di protesta per le vie di Taima, un sobborgo della capitale. Pur vivendo in Kuwait da decenni, i Bedoun sono trattati come residenti illegali e non gli è consentito manifestare. Sono costretti a subire severe discriminazioni da parte della polizia di stato e non hanno la possibilità di ricorrere alla legge per potersi difendere. Non vi è alcuna differenza linguistica o culturale rispetto ai cittadini kuwaitiani, eppure non godono dei diritti e privilegi di cui questi ultimi usufruiscono, come l’accesso alla pubblica istruzione, alle cure mediche e a qualsiasi forma di impiego pubblico.

La questione Bedoun è poco nota, del tutto trascurata dai mezzi di informazione, eppure basta approfondirla per rimanere allibiti da tanta ingiustizia. Il problema iniziò alla metà del Novecento, poco prima dell’indipendenza. Nel 1959 il governo proclamò la legge sulla cittadinanza e iniziò a concederla con facilità, perché fosse possibile avere un numero di cittadini sufficiente in vista della Dichiarazione di Indipendenza del 1961 che avrebbe messo fine al protettorato britannico stabilito nel 1899. Questa legge distingueva i cittadini di primo grado da quelli di secondo. A chi viveva in Kuwait almeno dal 1920 era conferito il diritto di proporsi come candidati e di votare alle elezioni parlamentari. A chi risiedeva in Kuwait almeno dal 1945 non era permesso invece di candidarsi alle elezioni e nemmeno di votare. Per rientrare in una di queste categorie, era necessario presentare la richiesta entro il 1966. Alcune persone non lo fecero perché erano anziane o molto malate, altre non avevano gli strumenti per capire l’importanza del concetto legale di “cittadinanza”. Questa situazione creò una terza categoria di persone chiamata “Bidoun”, i residenti illegali. Una condizione che riguardò sostanzialmente i discendenti dei gruppi di nomadi, pastori e pescatori di perle giunti dall’Arabia Saudita e dalle zone limitrofe due secoli prima; e i lavoratori immigrati arrivati da Iraq, Iran e Bahrain quando in Kuwait fu scoperto il petrolio.

Al nostro arrivo siamo spaesati. Un caldo soffocante paralizza i nostri movimenti. Ci guardiamo intorno, ci sentiamo osservati eppure nessuno sembra attenderci. Passa il tempo e iniziamo a percepire una micro tensione che ci accompagnerà per l’intero viaggio. I militanti Bedoun portano avanti l’attività politica insieme a lavori precari e sottopagati. Si devono occupare delle loro famiglie e guardarsi le spalle dalla polizia. L’arresto del leader, Hakeem, li ha obbligati a riorganizzarsi all’ultimo per accogliere due fotogiornalisti italiani. Temiamo di non portare a casa un buon lavoro, soggetti come saremo ai loro stessi imprevisti quotidiani.

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Taima (Kuwait). Bedoon houses. The Bedoon community is always on risk to be forced removed from their houses. They can not own property. The strategy of the Kuwaiti government is simply to push this issue onto other states.

E’ passata un’ora quando una voce finalmente ci chiama. E’ Talal, un giovane di trent’anni. Ha il viso gentile. Si scusa per il ritardo e ci racconta che a Taima, il quartiere dove vive, la polizia ferma le macchine per fare controlli. Da quando sono cominciate le manifestazioni di piazza la polizia sta addosso ai militanti. La Primavera Araba ha generato entusiasmo tra i giovani apolidi. La generazione che oggi ha trent’anni ha deciso di passare da un mal di vita silenzioso alla protesta organizzata. I genitori e i nonni erano privi di questo slancio. Vivevano con dolorosa passività una condizione di invisibili. I ragazzi che oggi scendono nelle piazze del Kuwait sono diversi. Rivendicano con determinazione la cittadinanza. Comunicano su twitter, curano blog, sono in contatto con Amnesty International. La rete li ha resi consapevoli dei loro diritti e ora sono pronti a battersi. Non accettano di essere esclusi dalla sanità o dall’istruzione di Stato. Fa male vedere una madre alla quale, giorno dopo giorno, va in cancrena la gamba perché non può farsi curare. O essere impotenti dinanzi a un vicino di casa non vedente, incontinente e anziano, che vive come un barbone perché lo Stato non prevede alcuna forma di assistenza per queste persone. Intendiamoci, se hai i soldi puoi permetterti gli ospedali privati, dove comunque il livello è più basso, ma mediamente un Bedoun guadagna 250-300 dollari al mese e un salario così basso ti pone in un vicolo cieco. Numerose famiglie vivono un dramma profondo: non possono permettersi di fare studiare privatamente tutti i loro figli e devono fare una scelta. Ci sono ragazzi di 11 anni che non sono mai stati a scuola.

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Hasawi (Kuwait). A young hawker in a football field a of a poor neighbourhood. The employment system for Bedoon is discriminatory. Most of Bedoon are not allowed to work, obtain a driving license or travel as they lack any travel documents. Because of this situation they become hawkers in the streets.

Talal ci spiega che dormiremo nel quartiere egiziano di Farwaniya, un sobborgo defilato alle porte della capitale. Qui saremo meno soggetti a controlli. Il piano è questo: andremo nelle aree a maggiore densità di senza stato. Gli attivisti del network Bedoon Rights si alterneranno per accompagnarci e farci da tramite con le famiglie. Non mancheranno i motivi di rallentamento, ma cercheremo di portare a casa materiale professionale per dare eco alla causa Bedoun.

Hasawi (Kuwait). A Bedoon blind man living in a small room in a poor suburb of Kuwait City. The man has no relatives and he is helped by some Bedoon neighbour. He can’t receive any medical care because Bedoon don’t have the right to access to public hospitals. They have to pay for private hospitals but even in this case they are treated only with drugs of low quality. There are several cases of deaths between Bedoon patients who were denied passports to get special medications abroad.
Hasawi (Kuwait). A Bedoon blind man living in a small room in a poor suburb of Kuwait City. The man has no relatives and he is helped by some Bedoon neighbour. He can’t receive any medical care because Bedoon don’t have the right to access to public hospitals. They have to pay for private hospitals but even in this case they are treated only with drugs of low quality. There are several cases of deaths between Bedoon patients who were denied passports to get special medications abroad.

I giorni successivi ci coordiniamo con i militanti sul campo e Mona Kareem da New York, la giovane Bedoun che grazie alla borsa di studio di un’università americana è riuscita a lasciare il paese per inseguire una possibilità di riscatto personale. Mona traduce in inglese i report che le giungono dal Kuwait, posta i video delle manifestazioni e dà supporto ai giornalisti che vogliono occuparsi di questo tema. L’impegno di questi giovani è encomiabile e sfibrante al tempo stesso. Dare risalto al dramma umanitario dei Bedoun si scontra con la politica classista del Paese, il cui governo appare chiuso alle istanze di cambiamento. Un paradosso per una nazione che affonda il suo benessere nel petrolio e assiste i cittadini dalla culla fino alla tomba. Il tasso di obesità per le vie della capitale è evidente all’occhio. Leggendo le statistiche, si scopre che quasi il 60% della popolazione ufficiale è sovrappeso. Uno shopping stanco muove le energie nei Mall, mentre i Bedoun entrano ed escono dalle carceri kuwaitiane a causa del loro impegno politico.

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Taima is a neighborhood of Al-Jahra where the most part of Bedoon community lives. It is located 32 kilometers north-west of Kuwait city.Bedoon have to pay KD 50 for the house rent each month. Many Bedoon work on the street selling cucumbers and vegetables. The women sell clothes and toys. On February 18, 2011 the first antigovernment protest among the Bedoon took place in Freedom square in Taima.

Le vie dei quartieri dormitorio di Taima e Al Ahmad sono scalcinate, lasciate a sé stesse. Il governo non dedica risorse a questi sobborghi. Al loro interno invece le case sono curate.Modeste ma assolutamente dignitose. I Bedoun ci tengono a raccontarci la loro storia. Ci accolgono con piatti di riso, pollo e verdure. Beviamo con loro il the caldo durante il rito tipicamente maschile della dewaniya. Stanchezza e rabbia sono evidenti. Qualcuno cade nella depressione. Molte giovani donne non trovano marito perché gli uomini non avrebbero uno stipendio per crescere una famiglia. Conosciamo Fahad, 40 anni e nessuna prospettiva per il futuro. Vende patate e cipolle agli angoli delle strade. Il suo sguardo scava le pareti di casa. I giovani attivisti si fanno carico del peso di queste persone e cercano di avere fede nel cambiamento. C’è molto fumo durante le loro riunioni. Un fumo nervoso, compulsivo. Le dita agitano sigarette accese. Gli attivisti montano al computer i video delle manifestazioni, organizzano conferenze sul tema dei diritti umani, scrivono report, ridono e poi tornano seri, bevono the a raffica, si preparano ad accogliere una delegazione di Amnesty International dall’Inghilterra. Grande fermento e grande passione. Ci spiegano che i Bedoun non possono ottenere certificati di nascita, morte, matrimonio e divorzio in modo legale. E questo vale anche per patente, carta d’identità e passaporto. Molti vorrebbero emigrare all’estero, in Canada o in Australia, per costruirsi un’ipotesi di vita serena, ma il governo, riconoscendoli come irregolari, gli vieta anche di lasciare il paese. Il Kuwait diventa così una prigione a cielo aperto.

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Kuwait. A group of Bedoon have just been released from the prison. They were arrested during the demonstration of the first May 2012. On May 1 between 200 and 300 Bedoon gathered near al-Sha’bi mosque in Taima to demand government action on their citizenship claims and resolution of their stateless status. Abdul Hakeem al-Fadhli, a prominent Bedoon activist, was among those arrested. The ministry alleged that demonstrators ignored its “repeated warning” that demonstrations by “illegal residents” are not allowed.Kuwaiti authorities don’t respect the rights of Bedoon to peaceful assembly. Masked officers normally use batons and harmoured vehicles to disperse and arrest the protesters, partecipants and Kuwaiti activists. Riot police use smoke bombs and hot water.

Il settimo giorno dal nostro arrivo liberano Hakeem e con lui altri attivisti. Un gruppo di Bedoun ha pagato la cauzione. Questa spesa influirà naturalmente sui budget mensili delle loro famiglie. A ogni modo, siamo fuori dal carcere quando i ragazzi escono. Cori e bandiere li accolgono. Si stringono in abbracci appassionati. La liberazione di ognuno è la liberazione di tutti. Noi scattiamo immagini, siamo emozionati. Un aspetto ci sorprende: i cori non sono mai rivolti contro l’emiro, verso il quale c’è amore incondizionato. I Bedoun non mettono in discussione le istituzioni, rivendicano parità di trattamento davanti allo Stato.

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Taima (Kuwait). A Bedoon man is speaking about his documents during a diwaniya (a man hosts guests and discusses important issues drinking tea at home). When a woman, whether Kuwaiti or bidoon or a foreign national, gives birth she receives from the hospital a record of the birth which, by law, must be traded in for a birth certificate within two weeks. However, on the record, the hospital must note the parents’ nationalities, and bidoon will typically be asked to either sign that they are nationals of some other state or that they are simply

 

I giorni che seguono danno un’impennata al nostro lavoro. Insieme ad Hakeem entriamo a fondo nella realtà che stiamo documentando. Questo giovane blogger lavora in un centro di auto ricambi Volvo alle dipendenze di uno svedese che si fida ciecamente di lui. Quando Hakeem viene arrestato, il capo lo copre e non lo licenzia. Hakeem studia inglese presso un’università privata – la statale è inaccessibile – dorme tre, quattro ore a notte, quando vuole distendere la tensione prende la moto e va nel deserto ai confini con l’Iraq. Scrive post di informazione e riprende tutto con il suo tablet: storie di vita, manifestazioni. E’ in contatto quotidiano con Mona. Insieme sono il megafono on line per le rivendicazioni della loro gente. Hakeem ci ospiterà a casa sua fino alla nostra partenza. La madre malata insiste nel nostro imbarazzo per farci dormire nel suo letto mentre lei riposerà su una poltrona nel corridoio. Incurante del veto islamico che non permette alle donne di essere ritratte, ci chiede di fotografarla in pieno viso. Il suo volto sarà il volto delle migliaia di donne Bedoun che vivono nella sua condizione.

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Ali Shamkhi Al-FadlyAtleta è un simbolo. Lo conosciamo in quella che informalmente viene chiamata Freedom Square, la piazza delle proteste di Taima. Ali è un atleta sordo e fa parte della nazionale paralimpica del paese. Prende parte alle gare sportive internazionali come rappresentante di un paese che non gli riconosce la cittadinanza, ma al rientro in Kuwait gli viene puntualmente ritirato il passaporto, nonostante le medaglie vinte. Mentre fotografiamo Ali giungono due vetture della polizia e ci sgomberano.

Le storie enigmatiche e cariche di contraddizioni sono a migliaia.

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Durante l’invasione irachena, nel 1991, la maggior parte del corpo armato kuwaitiano era composto da Bedoun. Molti di loro morirono, altrettanti furono catturati, fatti prigionieri e poi torturati. Tutto questo per proteggere la “loro terra”. Dichiarazioni ufficiali lodavano le azioni dei Bedoun e aumentavano la speranza che la loro situazione si sarebbe risolta dopo la liberazione. La beffa fu il trattamento che gli venne riservato una volta concluse le battaglie. Il governo utilizzò come pretesto il fatto che una piccola parte della comunità di Bedoun si era schierata dalla parte dell’Iraq e generalizzò il contesto dando il seguente ordine: tutti i datori di lavoro dovevano tassativamente licenziare i Bedoun che lavoravano presso le proprie aziende, istituzioni e ministeri.

Altro paradosso legato alla guerra: le milizie di Saddam Hussein fecero molti ostaggi. Di questi soldati non si ebbero notizie per un decennio. Nel 2004 furono scoperte in Iraq le fosse comuni dove giacevano i corpi dei miliziani rapiti. Il destino volle che la prima salma a essere riconosciuta e rimpatriata in Kuwait appartenesse a un Bedoun. L’Emiro organizzò una manifestazione solenne per accogliere il feretro. Fu un momento molto toccante per la collettività. Quando si diffuse la notizia, la famiglia del soldato – risiedeva in Siria dove era fuggita per scampare alla guerra – chiese un permesso per visitare la tomba del figlio amato. Negato.

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E’ il nostro ultimo giorno. Hakeem ci porta tra i beduini del deserto. E’ un luogo a lui caro per la pace che si respira. Ma è anche un luogo simbolo della condizione della sua gente. Chi non ce la fa economicamente, si allontana sempre più dai centri abitati, occupando le stalle per cavalli nell’area rurale di Stablat o tornando a vivere nell’arido deserto ai confini con l’Iraq. A ridosso dell’accampamento beduino c’è una rete di pallavolo. Qualcosa che evoca il gioco e la leggerezza. Sopra, quasi nel cielo, scenografici si ergono i tralicci della corrente elettrica. Sfiorano le capanne dei Bedoun e corrono indifferenti verso la capitale. Il Kuwait, una nazione tra le più ricche al mondo, non bada a una parte della sua famiglia e relega questi suoi figli come concime per la terra. I giovani militanti non si scoraggeranno, sentono di non avere più nulla da perdere. Il cammino è duro, a livello internazionale sono pressoché sconosciuti. L’apartheid crollò per l’insostenibilità dell’economia su cui si fondava. Il Sud Africa era divenuto vittima dell’embargo internazionale e questa condizione obbligò il paese a cambiare rotta politica. Il Kuwait è forte e saldo nelle sue posizioni geopolitiche. I militanti Bedoun sono pessimisti con la ragione, ma ottimisti con la volontà, non c’è altra soluzione. La rivolta scorre sul web e tra le strade assolate. Molte sigarette bruceranno ancora prima di giungere alla pacificazione di un paese.

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Per info e approfondimenti sui Bedoon:

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