“Cartoline dalla Calabria. Il calvario di una regione”: San Luca 3a parte.

La vita a San Luca scorre apparentemente normale.

San Luca (Reggio Calabria). Gli anziani del paese giocano a carte fuori dalla Chiesa.

Nell’agosto 2007 San Luca è ritornata sotto i riflettori per la faida tra le cosche Nirta-Strangio e Pelle-Vottari dopo la strage di Ferragosto nel ristorante italiano “Da Bruno” a Duisburg in Germania, dove furono uccise sei persone.

Scrive Petra Reski in “Santa Mafia”: “Poco dopo il massacro di Duisburg, San Luca ha cercato di presentarsi alla stampa internazionale come un paese dimenticato dal mondo, pieno di boscaioli disoccupati, donne timorate di Dio e con un prete che lotta instancabilmente contro la mafia.

I nostri ricordi personali: Quando siamo arrivati a San Luca c’era un funerale per le vie del paese. In silenzio, senza strepiti o pianti, decine e decine di donne vestite di nero sfilavano in processione. Gli uomini le seguivano in blocco a qualche decina di metri. Siamo stati esitanti se tirare fuori la macchina fotografica o no. Ma ha vinto la prudenza, temevamo di agitare troppi occhi su di noi appena arrivati. A dir la verità gli occhi li avevamo comunque addosso. Avevamo la sensazione che qualunque nostro gesto, anche il più banale, trovasse lo sguardo di qualcuno. Faceva caldo ed entrammo in un bar per prendere una bottiglietta d’acqua. “Giornalisti?” ci domandò d’acchito il barista. Ecco, per gli abitanti di San Luca, i visitatori possono essere poliziotti o giornalisti, ma non semplici turisti. Proseguimmo la nostra “passeggiata”. A San Luca un senso di oppressione e cupezza ti pervade e ti abbandona solo quando ritorni sulla statale ionica. Sotto terra scorrono i tunnel dove si nascondono i latitanti. Lo sai e non puoi fare a meno di pensarci, mentre in apparenza la vita in superficie scorre lenta, monotona. Sembra un luogo dimenticato dagli uomini. I muri di molte case sono scrostati. E’ difficile pensare che qui vengano prese decisioni che verranno recepite in Canada, in Australia, in Germania e negli altri paesi del mondo dove sono attive le famiglie della ‘ndrangheta, emigrate da questi luoghi per predicare il verbo all’estero. Eppure è così, siamo nel cuore nero di questa organizzazione. Il tumore è partito da qui. Le metastesi poi si sono insinuate nel tessuto politico, economico e sociale fuori dalla Calabria. Dove meno te l’aspetteresti c’è un nucleo pulsante. Anche nella bella Valle d’Aosta che pare sempre lontana dalle cronache nazionali. D’un tratto, da una curva, sterzano rapidamente nella nostra direzione tre suv blindati, i vetri oscurati. Due neri e uno grigio. Targhe tedesche. Ci devono vedere all’ultimo perché quasi inchiodano. Il primo dei tre, quello grigio, abbassa il finestrino. Una persona si sporge, ci guarda, poi saluta qualcuno alle nostre spalle, sulle scalinate della chiesa. Ci riguarda, contraccambiato, e riparte. Proviamo rabbia. Questo territorio è un feudo della ‘ndrangheta, un luogo sottratto alla democrazia. Gli esseri umani qui non sono liberi. Un cappio gli stringe la gola. Gli sguardi delle persone non sono sereni, hanno i volti corrugati. Lo scrittore Corrado Alvaro, che era nato a San Luca in un articolo del 1949 scriveva: “L’incitamento continuo era di fuggire, abbandonare questo paese maledetto: tutti quelli che siamo fuggiti ce lo siamo sentito dire dal padre e dalla madre”.

 

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