Altaquota: storia del birrificio artigianale più alto d’Italia-3a puntata.

Pubblichiamo oggi la 3a puntata dell’articolo con cui l’amico Giorgio ci porta nel dietro le quinte del birrificio artigianale Altaquota, il più alto d’Italia.

Una birra per scommessa-3a puntata di Giorgio Guglielmino.

Azar al lavoro.

[…] Alcuni anni fa Gad Lerner, dopo la tragedia nell’acciaieria Thyssen Krupp, scrisse un articolo con parole di grande rispetto per gli operai morti sul lavoro e aggiunse parole di accusa verso una società che non sapeva riconoscere l’origine del suo benessere: “Quasi che le nostre automobili, i ponti, i grattacieli della post-modernità, potessero fare a meno dell’acciaio. E invece neppure la robotica e l’automazione degli impianti avveniristici, in cui si produconoi nostri beni di consumo durevole, prescinderanno mai dal ferro e dal fuoco.” Così è per il cibo, che non potrà mai prescindere dalla terra e dal lavoro che servono a produrlo.

Cittareale. Qui si produce il farro impiegato per la birra Altaquota.

Il circolo virtuoso di Altaquota ha prodotto la nascita di nuovi fermenti. Claudio, rinfrancato dall’esperienza del birrificio, ci spiega che ora si sta muovendo per il recupero di altre coltivazioni tradizionali. Lasciamo l’impianto e scendiamo al paese, dove querce e campi punteggiati di alberi a mele si amalgamano tra loro: “Nel corso degli anni, tutti questi meleti erano stati piano piano abbandonati. Quasi nessuno raccoglieva più i ranettoni, grandi come il palmo di una mano, le limoncelle, piccole, allungate, dolci e un po’ acidule o le agostinelle che maturano in piena estate. Eppure questa zona, cento anni fa, era conosciutissima per le sue mele che venivano commerciate in tutta la regione. Si producevano in gran quantità sia qui, nell’alto Reatino, che in Abruzzo e nelle Marche”.

E indica questi luoghi con un dito perché l’Aquila è appena oltre le montagne sulla nostra sinistra, mentre il confine con la provincia di Ascoli Piceno corre a pochi chilometri.

L'utilizzo di farro per la produzione di birra ha contribuito al recupero di alcuni terreni agricoli della zona.

“Ho cominciato a girare per i campi chiedendo ai proprietari di ripulire gli alberi, di fare nuovi innesti con le vecchie piante. Ora stiamo aspettando. Se tutto va bene fra quattro anni daranno i frutti. Ho anche proposto alle persone di “adottare” un melo. Un piccolo contributo per curare i campi, liberare i frutteti, acquistare i porta innesti. Adesso, quando vado in giro per la campagna, i contadini mi mostrano i loro meli. Soprattutto i più anziani mi comunicano, con uno sguardo, la loro piccola felicità. Quasi fosse un pezzo della loro infanzia che rivive. E forse lo è.”

Ginevra, Omid e Principessa, le prime tre birre prodotte da Altaquota.

Intanto la birra artigianale “Alta quota” comincia a essere conosciuta in tutta la Penisola e si sta guadagnando il favore di numerosi estimatori. Al Salone Internazionale del Gusto di Torino, nel 2010, Principessa, prima birra di Altaquota a entrare in commercio, ha conquistato pubblico e sommelier. Il nome scelto invece per commercializzare un’altra qualità è “Omid” che in farsi, la lingua parlata in Iran e Afghanistan, significa “Speranza”. E’ il sentimento con cui i rifugiati e gli abitanti di questo appartato angolo del reatino affrontano la vita. Ma nessuno sembra oggi dimenticare che la speranza va sorretta dalla forza delle idee, del lavoro e della pazienza.

Visita il sito di Altaquota

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2 Responses to Altaquota: storia del birrificio artigianale più alto d’Italia-3a puntata.

  1. azhar khan says:

    vi ringrazio tanto! questo è qualcosa di speciale per me, grazie a tutti i membri della Alta Quota per avermi concesso questo onore di lavorare con Alta Qouta, ho fatto del mio meglio per attirare l’attenzione al cuore della gente al nostro miglior lavoro e creare qualcosa di nuovo per loro … Azhar Khan

    • Molo7 says:

      Ciao Azar,
      anche per noi è stato un piacere conoscerti. Ti auguriamo in bocca al lupo per il tuo futuro. Antonio e Ilenia

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